L’errore più comune è credere che la censura esita solo nei paesi sotto dittatura. Le forme che la censura assume nei paesi democratici sono in realtà molto più subdole, proprio per l’assenza di un progetto istituzionale palese, e persistenti. Talmente persistenti che nel tempo ci si fa l’abitudine e diventano “common sense”, ovvero pratiche comuni che tutti ritengono normali.

Di certo ogni tanto va ricordato che l’Italia è l’unico paese occidentale che, nel ranking mondiale della libertà di stampa (che viene divisa in “libera”, “parzialmente libera” e “controllata”), ce l’ha parzialmente libera. Il che significa che libera non è. Ma ormai non si tratta più nemmeno della stampa ma delle decine e decine di condizionamenti impliciti che colpiscono prima di tutta chi lavora nel settore culturale.

Tra questi condizionamenti, possiamo includere il “politically correct”, cioè la richiesta pressante di rendere ogni contenuto non offensivo per tutte le categorie umane esistenti – e sul fronte “offesa e censura” sicuramente va letto Nick Cohen nel suo You can’t read this book. Di particolare interesse è ciò che Salman Rushdie pensa sull’argomento e che Cohen riporta.

C’è poi la censura in nome della protezione dei bambini. Questa può colpire ovunque, chiunque, in qualsiasi momento. Un libro che ha circolato felice per decenni, all’improvviso diventa oggetto delle ire di gruppi religiosi, politici, di mamme inferocite, che si organizzano per eliminarlo dalle biblioteche pubbliche e scolastiche. Di fatto, censurandolo. È successo a tanti, anche insospettabili, classici per ragazzi.

L’intensificarsi negli ultimi anni di queste pratiche, ha spinto gli autori e le autrici di ICWA a interrogarsi e a prendere posizione una volta per tutte. Di base, la censura non può essere mai giustificata soprattutto perché ogni atto censorio crea un precedente e può aprire la strada a fenomeni difficili da arginare. In pratica: se si concede a un gruppo X di censurare qualcosa, non lo si potrà poi impedire al gruppo Y.

Così ICWA ha creato un sito che si chiama LIBRI LIBERI, e raccoglie contenuti studiati per contrastare l’idea che possa esistere una censura “giusta”. Dall’editing retroattivo di testi classici i cui valori non corrispondono a quelli contemporanei fino all’imposizione di una visione unica su ogni tipo di tematica sociale, uno scrittore non può schierarsi dalla parte della censura. Soprattutto quando viene fatta in nome dei bambini.

Sul sito ci sono anche soluzioni alternative. Un testo controverso può essere contestualizzato storicamente o socialmente in modo che i lettori possano comprenderne la specificità. E non si deve confondere la letteratura con la docufiction o la propaganda di un messaggio morale – interpretazione che porta molte persone a dire, erroneamente, che “Lolita” è un inno alla pedofilia solo perché l’autore ha voluto mostrare l’interiorità e le intenzioni di un pedofilo. Così come Storia d’amore e perdizione di Melvin Burgess non è un inno alla droga anche se ne mostra gli aspetti esaltanti insieme a quelli devastanti.

Fate un giro sul sito, ci sono importanti contenuti e spunti di riflessione. Per dire no alla censura – l’unica cosa che è giusto censurare…

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